13 marzo 2007

Là su Marte (o l'Assumm'Arte)

A volte fare l'avvocato è un gran casino. Sì, perché contrariamente a quanto mi ero immaginato da bambino guardando Perry Mason, non sempre "il tuo assistito" è un innocente ingiustamente accusato ed è quindi un piacere (oltre che un dovere professionale) difenderlo, come si dice, a spada tratta.
A volte, come dicevo, ti tocca un po' convincerti di stare veramente dicendo una cosa "giusta". Tanto che rimango spesso piacevolmente stupito dell'abilità con la quale alcuni colleghi sono in grado di sostenere tesi quantomeno "impopolari".

Prendiamo ad esempio l'intervista a Giorgio Assumma, presidente della SIAE del dopo-commissariamento, pubblicata qui. Sinceramente, trovo quasi "artistica" l'abilità con la quale l'avvocato riesce a dribblare le domande dell'intervistatore, fornendo risposte formalmente e giuridicamente corrette ma, ad un tempo, sostanzialmente e logicamente inaccettabili per il consumatore medio.

Per una volta, quindi, provo a spogliarmi dei panni del professionista che si occupa di Proprietà Intellettuale e tento di rispondere "da consumatore informato" a quanto affermato da Assumma: «Chiamare tassa l’equo compenso è un errore gravissimo».

Sarà anche un errore terminologico gravissimo. Ma la sostanza è quella: l'equo compenso colpisce direttamente i consumatori di "supporti di registrazione vergini, analogici e digitali, dedicati (audio e video) e non dedicati comunque idonei alla registrazione di fonogrammi e videogrammi" (vedi qui). Quello che infastidisce "noi consumatori" è che la Direttiva 2001/29/CE, prima, ed il Decreto Legislativo n. 68 del 2003, poi, mettono in strettissima correlazione l'equo compenso, la copia privata e le cosiddette "misure tecnologiche di protezione efficaci" (articolo 102-quater LdA). Il ragionamento del Legislatore Comunitario è più o meno questo:
  • come Unione Europea, riteniamo che il diritto d'autore debba essere protetto massimamente, ma che debba anche essere favorita una qualche forma di libera fruizione delle opere ad uso strettamente personale;
  • pensiamo quindi sia "equo" consentire alle persone fisiche di farsi una copia ad uso personale dei supporti contenenti musica o film dei quali entrano legittimamente in possesso, a patto che venga pagato un altrettanto "equo" compenso ai titolari dei diritti;
  • consideriamo legittimo, ed anzi proteggiamo con adeguate sanzioni atti elusivi, che i titolari proteggano i supporti con "misure tecnologiche di protezione efficaci". Tuttavia, "il livello dell'equo compenso deve tener pienamente conto della misura in cui ci si avvale delle misure tecnologiche di protezione contemplate dalla presente direttiva. In talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento" ("considerando" 35 della Direttiva 2001/29/CE).
A questo punto qualcosa, per me "consumatore medio" smette di quadrare perché quando acquisto un CD musicale o un film in DVD trovo sempre "misure tecnologiche di protezione efficaci" che mi impediscono di esercitare il diritto alla copia privata che giustifica l'"equo compenso" e quando acquisto CD o DVD vergini per il backup dei dati, per le foto di mia figlia, per i filmini delle vacanze, pago sempre e comunque l'"equo compenso".

Quindi, delle due l'una:
  • o non (mi) mettete le "misure tecnologiche di protezione efficaci", in modo che io possa effettuare legittimamente una riproduzione privata ex articolo 71-sexies LdA, pagando il dovuto sotto forma di "equo compenso"
  • o non eliminate detto "equo compenso", perché non si capisce più cosa vada a compensare, vista l'ubiquità dei sistemi di protezione.
Ricordo infine che l'"equo compenso" non è una tassa contro la pirateria. Non lo è mai stato e non può giustificarsi in questo modo.


NOTE: chi fosse interessato all'approfondimento della tutela giuridica dei sistemi di protezione e gestione dei contenuti digitali (meglio conosciuti come DRM), può cercare un articolo del sottoscritto e dell'avv. Marco Scialdone, apparso sulla rivista RDEGNT (Anno II, n. 1), dal titolo "I sistemi di Digital Rights Management: limitazione od opportunità?". Nell'articolo provavo a sollevare un interrogativo non irrilevante: visto che il principio alla base del diritto d'autore è quello del do-tu-des, in forza del quale l'autore viene premiato con un monopolio legale in cambio del fatto che, alla scadenza del termine di sfruttamento esclusivo, l'opera entri in regime di pubblico dominio, che ne sarà allora di tutte quelle opere protette oggi da misure anticopia? Siamo forse di fronte ad un "contratto sociale" (il citato do-ut-des), nel quale una parte è dichiaratamente e fin da subito inadempiente (do-ut-teneas)? :-)

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1 Commenti:

Alle 21 marzo 2007 22.40 , Marco Scialdone ha detto...

Guarda chi ti ritrovo in rete! Caro Alessio è un piacere leggere di te. Non era niente male l'articolo che abbiamo scritto insieme, dovremmo ripetere l'esperienza ;-)

 

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