06 aprile 2007

Detenzione intellettuale

Questo blog, indubbiamente (visto il titolo), parla di Proprietà Intellettuale.
Magari in una forma meno elitaria o in senso lato scientifica, ma pur sempre "Proprietà Intellettuale". Tutto ciò soprattutto per una convenzione linguistica perché, anche se fatico a farmi ascoltare dai miei più illustri colleghi su questo punto, intimamente sono convinto che questa particolare branca del diritto semplicemente non dovrebbe né potrebbe chiamarsi così.

Facciamo un passo indietro, soprattutto a beneficio dei lettori di passaggio: oggi viene definito come "Proprietà Intellettuale" quel ramo del diritto che si occupa della protezione giuridica dei cosiddetti "beni immateriali", ovvero dei prodotti della creatività e dell'inventività umana che si estrinsecano in soluzioni tecniche, estetiche, distintive, ecc., ma che in quanto tali non sono altro che "idee", cioè essenzialmente beni privi di fisicità.
Scolasticamente si insegna che il brevetto tutela una soluzione ad un problema tecnico, oppure che il diritto d'autore protegge la forma espressiva di un'opera dell'ingegno di carattere creativo. In entrambi i casi, tuttavia, l'oggetto della tutela giuridica non è un bene materiale, ma il cosiddetto "corpus mistycum", ovvero quella componente innovativa o creativa che rende un bene materiale qualunque ("corpus mechanicum") particolarmente pregiato o diverso dagli altri.

Ebbene, elemento caratterizzante di tutti gli istituti della Proprietà Intellettuale è una sorta di "patto sociale" tra l'inventore/autore e la collettività, in forza del quale al primo è garantito un periodo esclusivo di sfruttamento della propria invenzione/opera (come premio ed incentivo per l'attività indubbiamente meritoria) ed alla seconda viene data totale ed incondizionata disponibilità della creazione stessa, allo scadere del citato periodo. E' quello che in un post precedente ho definito con il brocardo latino "do ut des": ti concedo una cosa, affinché tu in cambio mi dia un'altra cosa. Questo patto sociale garantisce l'equilibrio del sistema, in quanto gli inventori/autori sanno di poter contare su un periodo durante il quale potranno commercializzare i prodotti del loro ingegno in regime di monopolio legale, mentre la collettività potrà, pur con un "leggero" ritardo, giovarsi dell'attività privata per il bene pubblico.

Se questo è vero, ed almeno da un punto di vista teorico deve esserlo, allora la definizione di "Proprietà Intellettuale" non può che apparire da subito impropria, perché qualunque inventore/autore non è mai veramente proprietario della "sua" creazione, ma nel momento stesso in cui accetta il "patto sociale", se ne spoglia a favore della collettività, pur mantenendone esclusiva disponibilità per un periodo necessariamente determinato. Non quindi "Proprietà Intellettuale", ma propriamente "Detenzione Intellettuale".

A mio modesto avviso, il grande "problema" comunicativo dei "detentori" (!) dei diritti di PI è proprio questo: essi sovente si dimenticano di essere tali e si comportano da veri "proprietari", palesemente andando contro il "patto sociale". L'utilizzo costante dell'espressione "Proprietà Intellettuale" ha finito con il far dimenticare alla collettività il bene pubblico che discenderà dall'iniziativa privata, creando posizioni ideologiche contrapposte, dove i "titolari" ed i "fruitori" sembrano destinati a non mischiarsi mai. Un "problema" che ha anche un corrispettivo nei consumatori stessi, dimentichi del fatto che senza il "patto sociale" molte invenzioni/opere non sarebbero state create ed spesso incapaci loro stessi di rispettare il lavoro creativo altrui.

Che ne pensate?

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